Il caso trae origine dal rifiuto
opposto dalle autorità bulgare alla richiesta di rilascio dell’atto di nascita
per una bambina dell’età di due anni, nata in Spagna e figlia di due donne: una
di nazionalità bulgara e l’altra di nazionalità inglese. L’atto era necessario
per il rilascio del documento di identità della bambina. A supporto della
richiesta era stato prodotto un estratto del registro dello stato civile di
Barcellona (Spagna), relativo all’atto di nascita della bambina, dove le due donne
erano state indicate come genitori. Tuttavia il Comune di Sofia rifiutava il
rilascio del documento di identità, non essendo previsto in Bulgaria il
matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Il diniego veniva impugnato da
una delle due donne davanti all’Adminstrativen sad Sofia-grad (Tribunale
amministrativo di Sofia), il quale riconosceva che in forza della Costituzione
bulgara e della legge sulla cittadinanza bulgara la minore aveva conseguito la
cittadinanza bulgara, pur non potendo ottenere alcun documento o atto di
nascita.
Lo stesso giudice, tuttavia,
nutrendo dei dubbi sulla legittimità del rifiuto opposto dalle autorità
amministrative, con riferimento al contenuto di cui agli artt. 20 e 21
TFUE e 7, 24 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
(Carta di Nizza), decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla
Corte UE la questione pregiudiziale se detto rifiuto potesse o meno configurare
una grave compromissione del diritto della minore alla sua libera circolazione
all’interno dell’Unione europea e quindi il pieno godimento dei suoi diritti di
cittadina dell’Unione.
La Corte di giustizia,
sciogliendo la questione, ha affermato che «nel caso di un minore, cittadino
dell’Unione, il cui atto di nascita rilasciato dalle autorità competenti dello
stato membro ospitante designi come suoi genitori due persone dello stesso
sesso, lo Stato membro, di cui tale minore è cittadino, è tenuto, da un lato, a
rilasciargli una carta di identità o un passaporto, senza esigere la previa
emissione di un atto di nascita da parte delle sue autorità nazionali e,
dall’altro, a riconoscere, come ogni altro Stato membro, il documento
promanante dallo Stato membro ospitante che consente al minore di
esercitare, con ciascuna di tali due persone, il proprio diritto di
circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri»
[dispositivo].
La Corte UE, va precisato, non
entra nel merito del riconoscimento dei matrimoni tra coppie dello stesso sesso
nei diversi paesi dell’Unione; bensì sancisce il pieno godimento del
diritto fondamentale della libertà di circolazione del minore figlio di una
coppia omosessuale.
A prescindere dal riconoscimento
nei singoli Stati dei matrimoni di coppie dello stesso sesso, se il figlio di
una coppia omossessuale è riconosciuto in uno Stato membro dell’Unione europea
(nel caso di specie Spagna) il riconoscimento deve valere per tutti gli altri
paesi dell’Unione. Ne consegue che lo Stato membro di cui il minore sia
cittadino (nel caso di specie la Bulgaria) è obbligato a rilasciare al minore
il documento di identità ed il passaporto, senza previa emissione dell’atto di
nascita da parte delle autorità nazionali.
La Corte, nella sentenza in
commento, ricorda che «allo stato attuale del diritto dell’Unione, lo status
delle persone, in cui rientrano le norme sul matrimonio e sulla filiazione, è
una questione di competenza degli Stati membri e il diritto dell’Unione non
incide su tale competenza. Gli Stati membri sono quindi liberi di prevedere o
meno, nel loro diritto nazionale, il matrimonio tra persone dello stesso sesso
e la genitorialità di queste ultime. Tuttavia, nell’esercizio di tale
competenza, ciascuno Stato membro deve rispettare il diritto dell’Unione e, in
particolare, le disposizioni del Trattato FUE relative alla libertà
riconosciuta a ogni cittadino dell’Unione di circolare e di soggiornare nel
territorio degli Stati membri, riconoscendo, a tal fine, lo status delle
persone stabilito in un altro Stato membro conformemente al diritto di quest’ultimo»,
aggiungendo che «una misura nazionale idonea ad ostacolare l’esercizio della
libera circolazione delle persone può essere giustificata solo se è conforme ai
diritti fondamentali sanciti dalla Carta di cui la Corte garantisce il
rispetto».
Il principio affermato dalla
Corte ha una portata storica: ogni bambino nato da una coppia omosessuale godrà
degli stessi diritti in ogni Stato dell’Unione Europea, potrà liberamente
circolare in tutti i paesi dell’Unione e non subirà alcuna discriminazione,
anche nei Paesi che non riconoscono la validità del matrimonio tra persone
dello stesso sesso.
Maria Rita La Lumia –
LegalAssociati Verona