Modello organizzativo 231: nota a sentenza Tribunale di Milano n. 3314/2023

La sentenza in epigrafe approfondisce alcuni aspetti della disciplina “231” connotati da particolare novità.

Senza entrare nel merito della questione controversa, avente ad oggetto un’ipotesi di reato di corruzione ascrivibile a soggetto non apicale all’interno dell’organizzazione dell’ente (in specie, una nota società farmaceutica), preme evidenziare brevemente alcuni dei principali temi ivi affrontati.

Innanzitutto, nella condivisibile interpretazione del Tribunale di Milano, il MOG è “unitario” ed i parametri per vagliare la sua idoneità ed efficacia sono i medesimi, ciò sia nel caso in cui il reato presupposto sia stato commesso da un soggetto apicale, sia nel caso in cui la realizzazione dell’illecito sia riferibile ad un subordinato.

In particolare, la sentenza, nell’esaminare la complicata relazione tra l’art. 6 e il successivo art. 7 del D. Lgs. n. 231 del 2001, stabilisce che i criteri dagli stessi espressi per la valutazione dell’idoneità ed efficace attuazione del MOG coesistono e vanno invariabilmente applicati tanto con riferimento alla posizione degli apicali che a quella dei sottoposti.

L’unicità del Modello non può pertanto essere messa in discussione, valendo per entrambe le categorie di soggetti le richiamate disposizioni, seppur con “sequenze diverse per la necessità di adattarli allea diversa posizione ricoperta dai responsabili del reato presupposto”.

Altro aspetto di rilievo ribadito dalla enunciata sentenza, del resto già enunciato in numerose decisioni della Suprema Corte (da ultimo Cass. pen. n. 13936/22), è quello relativo alla individuazione del profitto confiscabile che, nell’ambito di un rapporto sinallagmatico, va identificato nel vantaggio economico al netto dei costi vivi e dei costi indiretti sostenuti dall’ente (ad esempio, costi di trasporto, manutenzione, etc.).

Ancora il Tribunale meneghino si sofferma sull’intervenuto adempimento da parte dell’ente delle prescrizioni di cui all’art. 17, lett. a)-b)-c) del Decreto “231”, assegnando particolare importanza all’avvenuta implementazione post factum di un programma di formazione obbligatoria, ritenuto idoneo anche perché coerente con le indicazioni fornite sul punto nelle Linee Guida rilasciate da Confindustria e Assobiomedica.

In conclusione, rilevata con un giudizio di prognosi postuma l’inidoneità del Modello adottato in concreto, all’ente nel caso di specie è stata addebitata una culpa in vigilando quale “strutturale colpa di organizzazione, che è forma di colpevolezza impersonale, propria della societas e direttamente riferita all’organizzazione collettiva”.

A costo di incorrere in ovvietà, si può concludere come non basti l’adozione statica di un Modello, rendendosi necessaria da parte dell’ente una continua attività di verifica e di aggiornamento dei propri assetti, nonché di formazione del personale, nel tentativo di prevenire costantemente, con opportuni presidi, la variabile data dalla - talvolta imponderabile - condotta umana.

Avv. Andrea Cianci - LegalAssociati Torino

Avv. Agostino De Zordo - LegalAssociati Roma

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