La sentenza in epigrafe approfondisce alcuni aspetti della disciplina
“231” connotati da particolare novità.
Senza entrare nel merito della questione controversa, avente ad
oggetto un’ipotesi di reato di corruzione ascrivibile a soggetto non apicale all’interno
dell’organizzazione dell’ente (in specie, una nota società farmaceutica), preme
evidenziare brevemente alcuni dei principali temi ivi affrontati.
Innanzitutto, nella condivisibile interpretazione del Tribunale di
Milano, il MOG è “unitario” ed i parametri per vagliare la sua idoneità ed
efficacia sono i medesimi, ciò sia nel caso in cui il reato presupposto sia stato
commesso da un soggetto apicale, sia nel caso in cui la realizzazione dell’illecito
sia riferibile ad un subordinato.
In particolare, la sentenza, nell’esaminare la complicata
relazione tra l’art. 6 e il successivo art. 7 del D. Lgs. n. 231 del 2001, stabilisce
che i criteri dagli stessi espressi per la valutazione dell’idoneità ed
efficace attuazione del MOG coesistono e vanno invariabilmente applicati tanto con
riferimento alla posizione degli apicali che a quella dei sottoposti.
L’unicità del Modello non può pertanto essere messa in discussione,
valendo per entrambe le categorie di soggetti le richiamate disposizioni,
seppur con “sequenze diverse per la necessità di adattarli allea diversa
posizione ricoperta dai responsabili del reato presupposto”.
Altro aspetto di rilievo ribadito dalla enunciata sentenza, del
resto già enunciato in numerose decisioni della Suprema Corte (da ultimo Cass.
pen. n. 13936/22), è quello relativo alla individuazione del profitto
confiscabile che, nell’ambito di un rapporto sinallagmatico, va identificato
nel vantaggio economico al netto dei costi vivi e dei costi indiretti sostenuti
dall’ente (ad esempio, costi di trasporto, manutenzione, etc.).
Ancora il Tribunale meneghino si sofferma sull’intervenuto adempimento
da parte dell’ente delle prescrizioni di cui all’art. 17, lett. a)-b)-c) del Decreto
“231”, assegnando particolare importanza all’avvenuta implementazione post
factum di un programma di formazione obbligatoria, ritenuto idoneo anche perché
coerente con le indicazioni fornite sul punto nelle Linee Guida rilasciate da Confindustria
e Assobiomedica.
In conclusione, rilevata con un giudizio di prognosi postuma l’inidoneità
del Modello adottato in concreto, all’ente nel caso di specie è stata
addebitata una culpa in vigilando quale “strutturale colpa di organizzazione,
che è forma di colpevolezza impersonale, propria della societas e direttamente
riferita all’organizzazione collettiva”.
A costo di incorrere in ovvietà, si può concludere come non basti
l’adozione statica di un Modello, rendendosi necessaria da parte dell’ente una
continua attività di verifica e di aggiornamento dei propri assetti, nonché di
formazione del personale, nel tentativo di prevenire costantemente, con
opportuni presidi, la variabile data dalla - talvolta imponderabile - condotta
umana.
Avv. Andrea Cianci - LegalAssociati Torino
Avv. Agostino De Zordo - LegalAssociati Roma